Al III miglio della via Latina, tra il 1857 e il 1858 ad opera di un cittadino appassionato di archeologia, Lorenzo Fortunati, si riportano alla luce i resti archeologici di un tratto considerevole di questa strada, i sepolcri con le splendide decorazioni e i resti della basilica cristiana di Santo Stefano, eccezionale testimonianza in questa zona del suburbio della città. Un ‘intraprendente scopritore’, Lorenzo Fortunati, esegue, a proprie spese, gli scavi per ricavarne gloria e guadagno, documentando scarsamente i lavori e causando la dispersione del materiale ritrovato, in parte salvato dalle attività commerciali del Fortunati e dai furti, grazie all’acquisto da parte di Pio IX e l’immissione nel Museo Gregoriano Profano (già Museo Lateranense). L’area verrà solo in parte acquisita dallo Stato italiano nel 1879 e poi trasformata in giardino dal ministro Guido Baccelli, mentre una parte cospicua diventa di proprietà dalla provincia di Roma, dove si trova il nucleo principale della villa della nobildonna Demetrias che aveva fatto erigere la basilica. Solo dagli inizi degli anni Ottanta del Novecento l’attività di scavi e restauri, tutt’ora in corso, ha restituito a questo tratto di via Latina e ai suoi sepolcri il valore eccezionale che riveste come testimonianza pressoché integra della strada antica, in una condizione di Parco recintato che prescinde da ogni relazione con il contesto circostante, ugualmente d’interesse prima di essere consumato dall’attività edilizia.
La fama delle eccezionali scoperte spinse all’epoca il massimo romanziere americano dell’Ottocento, Nathaniel Hawthorne, a visitare il luogo annotando nel diario un racconto interessante come testimonianza storica e di cronaca, con la descrizione dei lavori, dei monumenti del mondo pagano e cristiano riscoperti, del paesaggio tra i Colli Albani e la città con la sua ‘cupola possente’. Dalla fine del XIX secolo la conoscenza dell’area si deve alla ricca documentazione fotografica degli istituti italiani e stranieri, epoca in cui il paesaggio della via Latina era aperto allo sguardo con gli acquedotti e la Torre del Fiscale, prima delle sistemazioni a giardino nel secondo dopoguerra, quando l’attività edilizia ha accerchiato l’area del Parco.
Nel Parco, istituto nel 1879 a seguito dell’acquisizione da parte dello Stato di una parte dell’area, su entrambi i lati dell’antica via ritrovata con i suoi basoli, sono presenti numerosi monumenti funerari e testimonianze storiche e materiali dall’età repubblicana fino all’alto medioevo.
In particolare si trovano sui lati della via il cosiddetto Sepolcro Barberini, o dei Corneli, del II secolo d.C.; la Tomba dei Valeri con ambienti ipogei riccamente decorati, della metà del II secolo d.C., con il corpo in elevato ricostruito nella metà dell’Ottocento; la Tomba dei Pancrazi, in gran parte costituito da una costruzione moderna che protegge il sepolcro sottostante con ambienti decorati da splendidi mosaici pavimentali e volte e pareti affrescate con colori brillanti e stucchi in ottimo stato di conservazione. Si conservano inoltre i resti della importante Basilica di S. Stefano, raro esempio di impianto paleocristiano fatta costruire sotto il pontificato di Leone Magno intorno alla metà del V secolo.
La via Latina attraversa l’ intero parco ed è stata interrotta bruscamente dall’ attraversamento di via Demedriade, ma in realtà prosegue verso il quartiere di Torre del Fiscale, oggi via di Campo Barbarico, per poi dirigersi verso il parco degli Acquedotti.